fare storytelling per il tuo brand

Raccontare una storia…

sembra facile. Ma non significa scrivere un racconto, formato post, e chiuderla lì. Neanche scrivere un racconto qualsiasi. Significa usare un copywriting eccellente per camuffare il fine promozionale e commerciale del racconto, di modo che abbia vita autonoma e indipendente dal marchio che lo ha prodotto.

…transmediale

Non lo leggi nel libro sul comodino ma dai dispositivi mobile (soprattutto) finanche su poster pubblicitari.

Perché per la sua parola d’ordine è migrazione. Dei fatti (contenuti) da un media all’altro, dal digitale all’analogico al cartaceo. Uno spot della Lego di qualche anno fa metteva in scena padre e figlio: “we are a team bound by blood, that share our resources, improves our talents and the things we build together live forever. Let’s build!” dice il piccoletto. Dopo lo spot, la norrazione prosegue sul sito web aziendale, dove c’è una sezione dedicata #LET’SBUILD!

significare costruire un ponte emotivo

con i consumatori, lo storytelling è una tipologia di marketing del CONTENUTO che ha come meta la costruzione di un rapporto di stretta fiducia tra utente e brand.

Un altro esempio. Nel 2018 è stato trasmesso lo spot DREAM CRAZY della Nike: la narrazione con voce fuoricampo termina con “Non chiederti se i tuoi sogni sono folli. Chiediti se lo sono abbastanza”. Di questo spot si è discusso in molte tv della Terra, perché è stato un affronto della multinazionale a Trump, dopo gli episodi di razzismo violento nei confronti degli afroamericani. I sostenitori del presidente hanno lanciato un hastag per boicottare il brand #NikeBoicott! Mesi dopo, tirando le somme, la Nike ha potuto dire che lo spot aveva significato un guadagno di 163 milioni di $, un incremento di 6 bilioni di $ in termini di BRAND VALUE, un aumento delle vendite del 31%.

fatto non solo di video.

può essere lo storytelling, seppur con un commercial di 30 secondi si possa riuscire a sintetizzare molto e dire tutto con impatto. La narrazione del brand può passare attraverso i vari social, assecondando il potere di ognuno: INSTAGRAM➧IMMAGINI; TWITTER➧BREVI TESTI; FACEBOOK➧TESTO+IMMAGINE; PINTEREST➧IMMAGINI.

AirBnB ha puntato su instagram e su post molto personali: non una rassegna dei posti più belli al mondo in cui pernottare ma proprio quella casa Lì.

Il pubblico attuale ignora il marketing tradizionale e si fa appassionare dalle storie.

Il brand storytelling ultimamente è molto utilizzato dai grandi nomi del mercato anche per via della crisi economica che ha reso il consumatore molto più oculato coi suoi acquisti e preferisce scegliere, a parità di prezzo, il prodotto che gli dà dei contenuti emozionanti e informazioni “personali” (la storia dell’impresa ad esempio). Per offrire questi contenuti di senso al pubblico le aziende si stanno trasformando in media company: creano periodicamente contenuti editoriali originali, di informazione o intrattenimento.

Brevissima guida ai SOCIAL CONTENT

ovvero i CONTENUTI DESTINATI AI SOCIAL oggi utilizzati dall’80% degli utenti.

Si tratta di seguire una pubblicazione cadenzata di contenuti diversificati, per informare/pubblicizzare/fidelizzare gli utenti ed essere continuamente visibili. VISIBILI AGLI ALTRI per muoverli all’AZIONE (scopri, visita, approfitta, segui…).

L’atteggiamento giusto di fronte a un post da scrivere segue queste regole:

1

ricordarsi di scrivere per un destinatario con bisogni di conoscenza, non necessariamente sete di narrativa o filosofia sul vivere, ma anche di dettagli fisici o pratici sul tuo prodotto. Utenti con interessi e aspettative: se proponi loro un’azione a cui seguirà una ricompensa (call to action) non puoi disattendere tale promessa. Quindi se prometti uno sconto in seguito all’iscrizione alla tua newsletter, non puoi non inviare questo sconto.

2

trovare il giusto tone of voice per stabilire la relazione con gli utenti dei social che cercano ispirazione, vicinanza attraverso la condivisione di passioni e obiettivi e che, in fin dei conti, dobbiamo PERSUADERE. Puntare de facto dai reali clienti, le buyer personas che hai profilato dalle vendite effettuate.

3

recidere il superfluo: avete presente la velocità con cui scrolliamo le pagine? Le prime dieci parole sono determinanti e il resto del testo, semmai venga aperto, deve essere sintetico e denso. Instagram e Facebook non sono dei BLOG, NO-LONG-FORM; perchè lì gli utenti si aspettano di trovare delle risposte entro i primi dieci secondi.

4

dosare i verbi nella forma passiva che accentuano ciò che ci sta intorno (“siamo stati premiati con una medaglia x”); meglio ricorrere, a volte, alla forma attiva (“abbiamo vinto la medaglia x”). E non usare parole ambigue: l’utente non dedica tutto questo tempo a decifrare il messaggio.

5

scrivere articoli appassionanti per l’utente che, oltre a guardare-chi-fa-cosa tra i suoi amici, cerca, anche inconsciamente, risposte alla domanda: c’è qualcosa di utile per me? Ognuno di noi cerca di inquadrarsi, anche non esplicitamente, in un modello (l’intellettuale, l’anticonformista, il fashion-addicted, il naturalista…) e per fare comunità bisogna scandire le ‘regole’ di appartenenza a quel gruppo sociale. Infine, serve sottolineare l’appartenenza alla community

6

accompagnare SEMPRE l’articolo con un’IMMAGINE. Secondo le statistiche hanno ben il 104% in più di commenti e condivisioni rispetto a post di solo testo. Ovviamente immagini originali (non blasonate). E rendere iconico il testo con gli emoji, usate con intelligenza 🙂

7

scandire le pubblicazioni in un piano editoriale (di cui parlo meglio qui) che sarò io a redigere dopo aver ricevuto le tue risposte a queste domande:

  • Quali sono le caratteristiche dei prodotti o servizi che offri?
  • A quale pubblico ti rivolgi?
  • Quali sono i punti di forza e di debolezza della tua azienda?
  • Chi sono i tuoi competitor? In cosa differiscono da te?
  • Qual è il tuo valore aggiunto?

Il social media marketing è la forma digitale della comunicazione pubblicitaria che nasce dall’associazione complementare di TESTO e IMMAGINE, COPY+ART. Il copy è davvero breve e intenso quando l’obiettivo è muovere l’utente all’AZIONE (“Scopri”); quando invece si punta all’ENGAGEMENT, ci si può concedere testi più lunghi, dallo stile narrativo per fare storytelling. Un trend recente è l’utilizzo degli UGC (user generated content) per creare post promozionali. Per coinvolgere le nuove generazioni che hanno scarsa “pazienza cognitiva”, come definita dall’esperto Alfonso Cannavacciuolo, e si lasciano attrarre solo dai contenuti visivi, FACILITARE LE LEGGIBILITà.

Ieri era nuvolo, oggi c’è il sole

Ogni giorno porta con sé i suoi umori. Inizia che tutto fila liscio, non sei neanche in ritardo o di fretta, non dimentichi nulla e ti senti bene, poi una parola sbagliata o una figuraccia ti annebbiano e qualche dubbio su di te ti ritorna in mente. La giornata prosegue anche nel migliore dei modi, con la stessa fluidità con cui è cominciata, ma quelle due cose che hanno turbato il tuo equilibrio interiore, non hanno raggiunto il delta del mare.

L’indomani ti svegli un po’ così, hai dormito bene, ti senti grata, stai bene, esci in orario ma fai tardi comunque e quell’errore del giorno precedente c’è ancora nella tua mente. Organizzi la giornata e, solo a parole, anche l’agenda del mese. Una mail che aspettavi e temevi rimandasse di nuovo un inizio che devi affrontare con gioia e paura, arriva e non rimanda alcunché. Ogni piccolo inizio che ti sei operata a scatenare, può portare al successo o all’insuccesso. C’è chi non inizia nulla per non affrontare la disfatta. Chi non riesce a non provarci, teme più di tutto la disfatta ma ci prova. Molti di quelli che ci provano, se cadono poi si rialzano; altri rimangono a terra e decidono che non è destino, che sono nati sfortunati, che il mondo agevola sempre gli stessi. Il pessimismo o l’ottimismo si imparano in famiglia. Ci si influenza, ci si copia, ci si prende a modello.

Quelli che si rialzano, si danno la possibilità di partecipare ad altri concorsi della vita. Soprattutto danno al sogno e alla speranza il posto che si meritano.

La resilienza è un sentimento divenuto famoso. Siamo resilienti.

Insomma la vera notizia del post è un’altra.

Il Graficettario di Mr Bimbo è disponibile negli store Amazon. Forse non proprio in questo momento ma nelle prossime 72 ore si. C’è.

Spero davvero che mi porterà dei piccoli risultati. Ovvio che non arriveranno dal cielo, come molti pensano.

Buona giornata a tutti!

Mr Bimbo e il Graficettario

IS ON SALE

📎Non è come tutti gli altri libri di cucina.

📎Sì è per bambini , ma è PER TUTTI.

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📎Ne diverrete dipendenti.

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Il libro è autopubblicato. Se anche voi avete un ricettario nel comò della casa in campagna di nonna Maria e volete che tutti provino quelle pietanze deliziosamente perfette, SCRIVETEMI.

CHICCA TECNICA per il Kindle Publishing: le dimensioni personalizzate non funzionano bene e mandano in tilt il Previewer.

AVETE DEI DUBBI? Scaricate il pdf dei macaron, ricetta collaudata in famiglia e molto easy, contrariamente a quanto si possa pensare.

Stampate, pinzate e datela direttamente ai vostri bambini!

Arte e geometria, un piccolo lavoro per le classi prime.

Tornata da scuola oggi, fresca della lezione di matematica della maestra che ho accompagnato, ho usato i miei mezzi per produrre del materiale da usare con i bimbi di prima e vorrei metterli a disposizione di altri.

L’olandese Piet Mondrian non ha soltanto un nome altisonante negli ambienti dell’arte, del design e anche della cucina (visto che ci possiamo fare ispirare dal suo plasticismo per creare delicati pandispagna geometrici e colorati) ma è anche un ottimo punto di partenza per studiare la geometria in una maniera più pratica e contestuale.

La sua “Composizione con rosso giallo e blu” del 1929 ricavata in una tela quadrata di 52 x 51,5 cm, è frutto di una ricerca di universalità nelle linee e nei colori e la texture creata potrebbe continuare all’infinito al di fuori del quadro. Il pittore ha scelto i colori primari per significare col rosso il legame tra spazio e luce, il giallo la purezza dell’energia solare, il blu la spiritualità.

I bimbi dovranno ricomporre il dipinto come un puzzle, dopo aver prima ritagliato e poi colorato i pezzi riconoscendo i quadrilateri rossi/blu/gialli in base alle loro dimensioni.

Giocare con l’arte, entrare nell’arte e fare arte.

Ecco i materiali da scaricare:

Parole e immagini

Ora ne siamo più convinti di ieri, di quanto siano utili le immagini per l’apprendimento, le icone affianco al testo, le mappe concettuali per schematizzare, la frammentazione dei lunghi discorsi con contenuti visivi che stimolino e completino la riflessione.

Ora che le immagini ci pervadono anche in negativo, esse stesse ci salvano dall’eccesso di spunti. Quando scrivo della loro negatività mi riferisco forse di più a quelle della tv generalista, dei programmi quotidiani in cui spesso non c’è un modello comportamentale da cui attingere. Cioè non siamo più di fronte alla tv degli albori, che intimoriva il politico delle prime Tribune, che insegnava a leggere e scrivere al popolo purtroppo analfabeta del dopoguerra, della fascia pubblicitaria di Carosello che era il momento di svago di molti bambini. C’è tanta cultura oggi in tv come tanta bassezza appositamente messa in scena per palesarci ogni aspetto caratteriale dell’uomo moderno, come nei litigi stupidi ma coloriti di Uomini e Donne, mentre Maria ride sotto i baffi consapevole del gioco che sta muovendo senza tanta fatica.

Il punto è che le tv deve mostrare contenuti senza sosta e non può offrire solo roba di spessore, perché tutti sentiamo il bisogno di una pausa dopo aver studiato un’ora intensamente.

Abbiamo generato YouTube in quanto user e dal 2005 ci riforniamo anche da lì, e ci troviamo l’alto e il basso.

Il vero punto è questo: non siamo legati al tempo per guardare cose. Non ci sono più i cartoni su Italia Uno alle quattro del pomeriggio. Si sono moltiplicati, hanno messo al bando l’esclusiva delle puntate nuove, hanno messo su un canale proprio, poi 2-3-4, hanno ormai una loro tv a pagamento.

Siamo nell’era del non-appuntamento, col cartone, col film, con la fiction.

Viviamo nel quŏtĭescumquĕ. Ho cercato questo latinismo in questo stesso istante: penso, apro il browser, cerco, ctrl+c, ctrl+v, definisco il pensiero. Vogliamo e in qualsiasi momento abbiamo. Ci stiamo disabituando all’attesa, o forse lo siamo già, alle cose sulla punta della lingua.

E quindi stiamo cambiando anche fisiologicamente.

A scuola si mette nella lista dei casi particolari il bambino che tra quindici anni sarà forse la regola. Perché i disturbi dell’attenzione che portano alla redazione di piani di studio personalizzati, non derivano da alterazioni nel cervelletto o robe simili come si era ipotizzato inizialmente (si inizia a parlare di adhd negli anni ’80 negli Stati Uniti), ma dall’ambiente, dal ritmo di vita, dagli impegni che affannano, dalla velocità, dal rapporto in famiglia. In alcuni casi sono legati a vere patologie come l’ipoacusia.

Se questi sono i sintomi – l’incapacità di prestare attenzione ai dettagli e di aspettare il proprio turno, l’irrequietezza, la difficoltà a restare seduti e prestare attenzione, un comportamento impulsivo e vivace e molto fisico, la logorrea – è perché c’è troppo intorno.

Come quando mi sveglio alle 3 del mattino, ad esempio oggi, per via di un sonno leggero che termina la sua prima fase, di qualcuno che russa rumorosamente, della necessità di bere e, bom, i pensieri si accavallano, l’uno sopra l’altro, tutti ugualmente intensi e importanti e ridondanti. L’ansia mi tiene all’erta, mi rende più attiva, più solerte, a tratti più nervosa.

Per trarre informazioni dal TROPPO INTORNO molti nostri bimbi fanno fatica e hanno bisogno di espedienti speciali, sottoscritti. Ce ne sono in media due per classe almeno, attualmente.

Pe loro bisogna 1– Scandire bene le fasi della giornata che ci si appresta a svolgere. e il tempo per ognuna

2– Utilizzare immagini chiave e grafici durante le spiegazioni.

3- Preparare prove a risposte multiple e non aperte, da svolgere in minor tempo.

4- Fare pause più frequenti.

5- Apprezzare il lavoro svolto, fare complimenti

Tante proposte sono valide per tutti i bambini: a chi non farebbe piacere un complimento? Chi non gioverebbe di una articolazione migliore dell’argomento con mappe concettuali e icone?

Secondo una ricerca americana pubblicata sulla rivista Pediatrics, svolta su 2500 bambini 0-6 anni, sono le ore trascorse quotidianamente dai bambini di fronte alla tv a influire significativamente sullo sviluppo di disordini dell’attenzione e iperattività. Contenuti a parte, è proprio la velocità delle immagini, i FPS, gli stacchi continui, l’accelerazione visiva della pubblicità, ad alterare il cervello. Non soltanto tv ovviamente: cellulare, tablet, pc, videogame. Ci basiamo sempre più sul nesso primitivo stimolo-risposta.

Insomma troppe parole e immagini intorno a noi. Eppure una selezione di parole e immagini complementari per capire il mondo stesso.

“Ogni parola che proferiamo va scelta con cura, perché il prossimo la udrà e ne sarà influenzato, nel bene o nel male” Buddha

non c’entra niente ma contiene informazioni utili

Assorbilatte di giorno, cuffietta di notte: le due facce del dopo gravidanza. (una riflessione scritta di qualche anno fa)

A mia insaputa e totale sorpresa, i miei capelli in gravidanza erano tanti, lucenti e  fluttuanti. 

Io sono una liscia naturale e li ho sempre trattati con questo riguardo: al terzo giorno dopo il  lavaggio scatta la coda di cavallo e le radici grasse fanno un bell’effetto gel. 

Durante i nove mesi di pancione invece la detersione dello shampoo durava fino a sei  strabilianti giorni, permettendomi di abbandonare del tutto gli elastici nella loro ciotolina fino al lavaggio successivo. Un risvolto inaspettato della gestazione, come i vestiti aderenti senza dover trattenere fiato e addominali. 

Nessuno me lo aveva anticipato e mi sono alquanto preoccupata quando, dopo l’arrivo del  pargoletto, altrettanto inaspettatamente è iniziato il declino del mio cuoio capelluto: a un  paio di mesi dal parto, a ogni pettinata, a ogni lavaggio e a ogni dormita notturna seguiva una perdita allarmante di capelli. 

Che ciò fosse dovuto all’allattamento esclusivo? Eccesso di produzione lattifera e quindi necessaria carenza di altro per mantenere il corpo in una sorta di equilibrio fisico-statico-osmotico? 

Di giorno mi rifornivo di coppette assorbilatte per limitare il numero di maglie con aloni sul petto, di notte indossavo una invisibile cuffietta nera da parrucca per limitare lo spargimento di capelli.  

Eppure il latte non c’entrava niente. 

Il perchè della caduta dei capelli post-partum è infatti da ricercare nella produzione  ormonale delle donne. Gli estrogeni sono ormoni decisamente femminili, quelli che ci  sottopongono a sbalzi d’umore pazzerelli, a mani e piedi freezy e alle liste delle cose da fare o da dire durante i momenti di insonnia notturna. 

Tali estrogeni aumentano in maniera esponenziale durante la gestazione e diminuiscono  drasticamente dopo il parto.

E non soltanto decidono dove andrà a posizionarsi il tuo  grasso, se sui fianchi o nell’interno coscia, o in base a una combinazione assurda, ma, durante la gravidanza, aiutano i capelli a crescere per un periodo più lungo e a posticipare il momento della caduta a data da destinarsi.  

Non tutti i tuoi 100.000 capelli castani, ma una buona parte.  

In realtà, una data di destinazione c’è. A due mesi dal parto, non soltanto ero ancora gonfia e grassa, stanca e instabile, ma con anche una chioma deprimente fatta di capelli smunti, accasciati e tristi.  

Questo fenomeno leggermente angusto va sotto il nome scientifico di effluvium post-partum e  in media dura fino a 24 settimane. Tutti quei belli capelli che si erano rifiutati di cadere in gestazione grazie agli estrogeni, POUF, se ne vanno, cadono, abbandonano il campo,  privati di quegli ormoni fortificanti.

Si perdono dai 100 ai 300 capelli al giorno, tanti, lo sa  la scopa e lo sa l’aspirapolvere, lo sai tu che li trovi ovunque, e forse anche il gatto che al  posto di palle di pelo vomita intere parrucche. 

Molte donne non vivono questo fenomeno, altre lo hanno sperimentato col primo figlio e non con il secondo. Il primo pargoletto è uno sconvolgimento totale, un’emozione tanto forte da somatizzare in qualche modo. Un effluvium importante può essere connesso ad anemia, a problemi di tiroide e a dimagrimento. 

Comunque è, nella norma, un evento passeggero che si risolve da sé ma che possiamo  facilitare attuando sette mosse segrete: 

mangiare sano, come al solito, tanta frutta e verdura, e fare degli stipi della cucina luoghi  ordinati e salubri, magari installando degli utilissimi chocolate&sugar detector

– introdurre nello stomaco tanto ferro, calcio e zinco

– non abbandonare la regola dei 2 litri di acqua diurni

massaggiare il cuoio capelluto, oltre alle cosce, durante lo shampoo a base di vitamina E  e B e, frequentemente ma non sempre, applicare un balsamo all’olio di Argan; 

annullare tutti gli appuntamenti dal parrucchiere: stop con lacca, gel, permanenti,  piastrate, code strette, arricciature e decolorazioni; 

– lasciare i capelli liberi di asciugare al sole e all’aria, tamponarli e non usare  l‘asciugamano come fosse carta vetrata

– bere té verde che contiene flavonoidi, e non soltanto il finocchio che incrementa la  produzione di latte. 

Il mio disappunto capelluto è durato quattro mesi e più, dopodiché mi sono riempita di  spuntoni terrificanti, capellini in crescita, sparati in aria e incontenibili. Segno che la fase anagen era iniziata per molti. 

E le cuffiette per parrucca sono sparite dalla circolazione, come le coppette assorbilatte. Sei mesi stravolgenti, la rivoluzione a cui segue la normalità.

Il progetto di arte:

un mix di competenze pregresse, delle abilità per applicare le nuove conoscenze incontrate, di nozioni spot di tipo storico-culturale, intrecciati in un compito di realtà.


L’ho chiamato “La nostra Gam”. La Galleria d’Arte Moderna di Torino si sviluppa su tre piani e ognuno è dedicato a un circa secolo di arte a partire dalla metà del 1700, quindi si entra cautamente nell’arte contemporanea attraverso il tempo. Allo stesso modo la nostra piccola galleria scolastica, ancora in allestimento, è un viaggio dal realismo alla modernità.

Siamo partiti da una presentazione che potete prendere qui

E abbiamo preso la Gioconda come modella da vestire nello stile impressionista, cubista, astratto… Lisa de Gherardini perché è emblematica e famosa e per scongelarla dal suo 1500 e farle fare un viaggio nel tempo.

La nostra mostra si visita in senso orario dai dipinti naturalisti della serie “Frutta sul banco”, con cui i ragazzi di V° si sono cimentati nella riproduzione della luce e del suo cono d’ombra, e dal ritratto del Leone-così com’è al ritratto del Leone-così come lo vedo, in cui ci siamo fatti ispirare dallo studio picassiano sul Toro.

Poi si entra nell’arte moderna con una Gioconda impressionista e l’altra espressionista, una pop e l’altra cubista, per poi osservare creazioni astratte ispirate a temi preindicati dall’insegnante. Completerà il percorso la possibilità di diventare protagonisti della tela di Munch: realizzeremo lo sfondo del celebre dipinto senza il suo soggetto.

Quando la galleria sarà nella sua forma definitiva, allora ci soffermeremo sulla sua comunicazione: ogni alunno creerà un pieghevole per informare i compagni delle altre classi e invitarli a dare un’occhiata, e lo consegnerà personalmente al suo target 🙂

Ne parlerò ancora.

Facciamo insieme. Imparare con il cooperative learning dalla primaria.

«I fiocchi di neve, presi singolarmente sono piccoli e fragili, ma uniti tra loro possono fare cose incredibili.»

A partire dagli anni ‘80 ha rappresentato una rivoluzione nella didattica tradizionale, quella frontale e lockiana che voleva riempire le tabulae rasae degli alunni con le informazioni distribuite dal docente; attualmente il cooperative learning sembra essere uno strumento pedagogico indispensabile perché sono mutate le variabili in relazione:  il contesto, la classe, i bambini, la loro psicologia, le attenzioni dei genitori e delle istituzioni ai loro disturbi, connessi anche al cambiamento degli adulti intorno. Oggi col gruppo classe di ogni ordine e grado non si può più elargire solamente la spiegazione orale, con la lettura del testo e un paio di esercizi abbinati; risulta necessario usare metodi diversificati e passare dall’apprendimento passivo, all’attivo e al cooperativo con flessibilità ma soprattutto strutturazione. I diversi metodi sono complementari e corrispondono alla frenesia di vita che tutti sperimentiamo. Lungi dall’essere il banale lavoro di gruppo con cui viene spesso impropriamente scambiato, il cooperative learning ha regole e fasi da seguire improrogabilmente e alla sua base c’è un docente qualificato in merito, che assume consapevolmente il ruolo di facilitatore, conduttore e valutatore non solo della performance disciplinare ma soprattutto delle competenze sociali messe in atto. Forse questo è il punto in comune con la scuola classica, quella di sempre, che ripete ai suoi alunni quanto la condotta influenzi la votazione. Nel CL senza il giusto comportamento, tanto individuale quanto collettivo, non si può lavorare; dalle dinamiche relazionali dipende il prodotto finale e le competenze sociali individuali sono ciò che permettono di lavorare in interdipendenza positiva, con la consapevolezza che l’obiettivo comune è raggiungibile tramite il contributo significativo, rispettato e necessario di ognuno.

Bisognerebbe introdurre il metodo collaborativo all’inizio del percorso scolastico, farne un leitmotiv della didattica, quindi avere un docente fisso con cui mantenere un rapporto di fiducia. L’insegnante come la propria famiglia: il bambino dovrebbe essere rassicurato che in classe si impara in quel modo, si struttura la giornata secondo quelle regole e abitudini, quei sorrisi e quegli sguardi che, come con la mamma e il papà, il bambino diventa in grado di leggere e interpretare senza arrivare alle urla di emergenza. In classe ci sono tre elementi ogni giorno a interagire: l’insegnante, gli alunni e il Sapere.

Proprio per avvicinare il bambino alla volontà autonoma di sapere dagli anni ‘70 i ricercatori Johnson&Johnson, e con valide teorie prima di loro John Dewey, Kurt Lewin e Morton Deutsch, hanno elaborato il metodo del Collaborative Learning. Sin dai 6 anni, i bambini possono essere esposti a questo modo di lavorare che deve essere ben strutturato e spiegato prima di iniziare; gli alunni devono capire che non ci sarà successo individuale senza successo collettivo, che i ruoli devono essere definiti prima di iniziare, che all’interno del gruppo ogni partecipante ha una funzione assegnata tenendo conto delle abilità di ognuno. I ruoli possibili sono cinque o sei; il numero ideale di allievi per gruppo è quattro.

Orientato al compito è chi deve progettare il piano di lavoro, sollecitare il gruppo a decidere bene e nel minor tempo, ricordare a tutti che l’obiettivo è raggiungere il miglior risultato possibile. Orientato al gruppo è colui che si preoccupa che tutti partecipino in egual misura, che gestisce eventuali conflitti e fa comunicare le parti. Memoria è il ruolo di chi mette per iscritto i risultati raggiunti e ricorda costantemente le decisioni condivise da tutti. Relatore è chi stende la versione finale dei risultati raggiunti e la espone a tutta la classe nella fase conclusiva del lavoro. Osservatore è il controllore che si accerta che ognuno svolga il proprio lavoro, secondo una griglia predisposta dall’insegnante. Prima di iniziare ogni alunno dovrà avere un cartellino con il proprio ruolo evidenziato.

Per i bambini delle prime classi della primaria, il CL è per lo più ludico. L’apprendimento del fare attraverso il gioco è per i piccoli molto efficace: giocando vivono la loro socialità. I ragazzi con poche relazioni sociali hanno maggiori probabilità di vivere disordini psicologici anche in età adulta; “il benessere personale  e il successo dei ragazzi è inesplicabilmente legato alla loro accettazione da parte dei compagni.” (Peterson, Giannoni, 1992)


Per passare dal ludico al didattico, l’insegnante può usare il CL Informale, cioè far lavorare i bambini a partire dalla classe terza a coppie, e proporre attività che non puntino sulla competitività. Le coppie devono essere casuali e cambiare spesso; non devono essere “di livello”  (uno studente che reputa più preparato viene abbinato ad uno studente con difficoltà) per non comprometterne l’autostima.


Un esempio di CL per bambini di terza può essere la creazione di fiabe con la tecnica Jigsaw. I Fase: si formano i gruppi da 3 fino a 6 bambini e l’insegnante illustra le modalità di lavoro, assegnando a ogni membro un compito individuale (caratterizzare i due protagonisti, l’antagonista e l’aiutante magico, poi l’ambiente naturale esterno e un ambiente interno, ad esempio). Ogni gruppo ha una storia da inventare e ogni membro sarà responsabile dello sviluppo del proprio soggetto/oggetto, quindi delle sue azioni all’interno della trama che così prende forma. II Fase: gli “Esperti” sul protagonista si radunano per confrontarsi sui propri caratteri, definendoli nella fisicità, nei tratti caratteriali, nel trascorso biografico e nel momento contingente; gli altri esperti potrebbero far emergere delle criticità e aiutarsi a vicenda nel dettagliare meglio ognuno il proprio personaggio. III Fase: si ricostituiscono i gruppi e ogni membro legge il testo autoprodotto; insieme creano la mappa della fiaba ( inizio, sviluppo, conclusione). IV Fase: il gruppo assegna il titolo alla fiaba e verbalizzano la sequenze della storia, inserendo ognuno la propria descrizione, eliminando gli elementi ripetitivi o superflui, dando organicità al testo, coerenza e coesione logica e grammaticale. In quest’ultima fase l’insegnante potrebbe guidare gli alunni nella riflessione circa la logica delle loro storie. V Fase: lettura delle fiabe e assegnazione di un voto individuale e di gruppo.


Con una classe quinta si può usare la stessa tecnica Jigsaw per la geografia. Il docente sceglie un argomento autonomo, svincolato da pre-nozioni, come può essere una regione geografica. Suddivide il tema in quattro parti, quali l’economia, il territorio, la cultura, i confini, e decide di concedere da 60 a 90 minuti per l’attività collaborativa. Il docente forma poi i gruppi da quattro membri, in modo che siano eterogenei e anche casuali. Ogni gruppo lavorerà sulla stessa regione geografica ma ogni membro ha la sua parte d’argomento da approcciare ed esaminare a partire dai materiali messi a disposizione dall’insegnante. Quindi ogni membro diventa un “esperto” di quella sottocategoria per quella tematica. In una seconda fase gli “esperti” si riuniscono per verificare di aver ben colto gli elementi essenziali, i punti critici dell’argomento e potrebbero preparare una presentazione cartacea per spiegare il proprio argomento ai compagni. In una terza fase infatti, ogni esperto rientra nel suo gruppo di appartenenza per spiegare la sua parte agli altri, che solo così hanno accesso a quelle informazioni, quindi hanno la responsabilità di essere efficaci.

Assumere il cooperative learning come modello didattico, anche solo per poche ore alla settimana, significa riconoscere agli alunni intelligenza e capacità critica sufficiente per manipolare e creare i concetti, non solo apprenderli passivamente.

Assumere il cooperative learning come modello didattico, anche solo per poche ore alla settimana, significa riconoscere agli alunni intelligenza e capacità critica sufficiente per manipolare e creare i concetti, non solo apprenderli passivamente.

«Se vuoi costruire una nave non distribuire compiti, non organizzare lavoro. Prima risveglia invece negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà risvegliata in loro questa sete si metteranno subito al lavoro.» (Antoine de Saint-Exupery, 1940)

Basta una conferma

Quindi quest’anno per me è lavorativamente appagante. Ve l’avevo detto? Quando trovi la tua strada, viene da chiederti: come mai non ci ho pensato/provato prima? Tante eventualità appaiono all’improvviso ma avrebbero potuto farlo prima. Allora c’è davvero il momento giusto per ogni cosa. Il mio momento è scattato con un’opportunità spiazzante, che ho colto al volo e che mi ha dato sicurezza. A ritroso, tale opportunità l’ho innescata io, dopo una conversazione con una mamma nel parco. Insomma è super-vero che BISOGNA TENTARE.

Ora mi sembra di poter asserire cose su di me con certezza. E sono sicura che il connubio che ho avuto la possibilità di creare quest’anno rappresenti la mia situazione ideale.

Queste sono le mani che ho disegnato ieri, scannerizzato, vettorializzato e trasformato in queste altre:

Il rosso punta al logo, posto in basso a destra. I colori sono quelli aziendali. Ho fatto ieri questa e altre bozze per la carta intestata e articoli customizzati dello studio col quale ho avviato una collaborazione interessante e promettente.

Scuola e grafica/comunicazione, proprio gli oggetti di discussione di questo blog e il mio obiettivo di vita professionale 🙂

Nient’altro da dire in questo post, solo un aggiornamento.